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Nuova luce per il Ponte Vecchio

L’ecomuseo Carat continua la sua attività di recupero della Vallata S. Domenica con il ripristino dell’illuminazione del sentiero, delle latomie e dei ponti, la manutenzione delle panchine e delle recinzioni e la fornitura e la posa della segnaletica CARAT in prossimità degli elementi caratterizzanti della Vallata.

In particolare si sofferma sulla storia costruttiva del Ponte Vecchio mettendo in luce antichi percorsi in parte dimenticati

LA REALIZZAZIONE DEL PONTE VECCHIO 1812-1844
“Un primo progetto per il ponte, che doveva collegare Ragusa Superiore al quartiere dei Cappuccini, scavalcando la vallata di Santa Domenica, si registra già nel marzo 1812. Il capitolato di appalto tra il barone don Mario Schininà e il muratore Giovanni Bocchieri indica l’esistenza di un progetto («archetico»), forse sovradimensionato per le reali risorse economiche a disposizione.

Probabilmente un ruolo decisivo sembrano avere alcuni frati Cappuccini, tra i quali spiccano Giambattista Occhipinti (noto come padre Scopetta), al quale spesso si attribuisce erroneamente la costruzione dell’attuale ponte e padre Bonaventura da Sortino. Sembra che il progetto e il successivo appalto non abbiano avuto seguito, infatti la questione si ripresentò alla fine del 1833. La costruzione della strada che portava alla borgata marina di Mazzarelli comportava la necessità di un diretto collegamento con la città settecentesca, circondata da profonde cave. Il ponte era una infrastruttura necessaria e avrebbe quindi consentito un veloce passaggio dal centro urbano (la piazza della chiesa madre intitolata a San Giovanni) al quartiere dei Cappuccini e quindi all’altipiano che digrada lentamente verso il Canale di Sicilia. I documenti indicano che ancora una volta erano i padri Cappuccini ad assumersi l’impegno del progetto e della raccolta dei contributi finanziari.

La fase operativa e la realizzazione del disegno vennero assolte da due capomastri, Francesco Rimmaudo e Pasquale Ventura. Il ponte previsto era ad otto arcate a un solo ordine e implicava un andamento ripido sulle due testate, con una sezione a trapezio capovolto molto pronunciata. Dalle dimensioni preventivate sembra evidente che si fosse scelta una soluzione più modesta e realistica di quanto facesse prefigurare il progetto del 1812.

Continuavano i dibattiti sull’altezza da dare alla struttura per permettere il transito veicolare. Nel febbraio 1835 l’ingegnere Ignazio Giarrusso venne incaricato di elaborare una relazione che il professionista completò nel luglio dello stesso anno, accompagnandola con un disegno, purtroppo oggi andato perduto. Il problema che il nuovo grafico intendeva risolvere era sempre quello della viabilità e in questa occasione si fa riferimento a un sistema a due ordini di archi. Spetterebbe pertanto a Giarrusso il merito di avere previsto una conformazione che ricorda quella di un acquedotto romano antico.

Il cantiere si riavviò nel 1841 dopo un arresto delle attività nel 1837 e vide l’avvicendarsi di diversi tecnici quali l’architetto Salvatore Toscano e l’ingegnere Alì che portò a compimento l’opera nell’arco di un biennio. Da quel momento il destino urbano di Ragusa era in qualche modo segnato e la possibilità di orientare l’espansione verso sud divenne nell’arco di pochi decenni la vera alternativa al paratattico quadrillage della città fondata dopo il grande terremoto del 1693”.

TRATTO DA “Lexicon. Storie di architettura in Sicilia e nel mediterraneo – La “grandiosa opera”: il ponte vecchio di Ragusa (1812-1844). La storia e le rappresentazioni” di Emanuele Fidone e Antonella Armetta