Mimì Arezzo, assessore alla Cultura del Comune di Ragusa nel 2008, si rivolse all’ingegnere Cesare Zipelli per chiedere consigli e aiuto. L’oggetto della discussione era la realizzazione, immaginata da Arezzo, di un “museo della ragusanità”. Individuato lo spazio per contenere la raccolta che Mimì Arezzo immaginava in una certa maniera, l’assessore si rivolse al manager per avere consigli e materiale, posto che Cesare Zipelli era un collezionista conosciuto per la vastità e la originalità delle sue tante collezioni. “Ingegnere – esordì Arezzo – a me servono, sempre che lei sia disponibile, dei pezzi della sua collezione. Voglio realizzare un museo che esprima la anima vera di questo popolo. E siccome lei, ancorché messinese, vive a Ragusa da mezzo secolo e ama questa città come me e molto più di molti ragusani, la prego volermi aiutare”.
La replica del manager, che era stato dal 1950 al 1968 il Direttore Generale di quella Asfalti Bitumi Cementi e Derivati (erede della ben più antica Asfalti Bitumi Combustibili liquidi e Derivati) e poi dal 1974 Direttore Generale della Cementeria AZASI di Pozzallo, fu sintetica quanto spiazzante: “caro assessore, se lei vuole fare un museo dove esprimere e mostrare la vera natura di Ragusa, la sua supposta originalità rispetto al circondario, allora le basterà una sola stanza. Al centro metterà un tavolo. E sopra al tavolo metterà un caciocavallo di media stagionatura e un piccolo blocco di roccia asfaltica di media impregnazione. Avrà risolto il suo progetto”.
Arezzo riuscì quantomeno ad avviare la pratica museo della ragusanità, che oggi mostra, all’interno dello storico Palazzo Melfi e poi Zacco di via San Vito, una discreta e ben organizzata raccolta di oggetti tipici della civiltà contadina dell’altopiano ibleo, fotografata poco prima di diventare moderna e globalizzata società occidentale.
Epperò la risposta di Cesare Zipelli è sottoscrivibile: zappe, aratri, culle sospese in aria sopra un materasso pieno di paglia, la mangiatoia per il mulo sono uguali in tutta l’Isola. Caciocavalli pregiati, e pregiatissimo calcare bituminoso, la roccia asfaltica che chiamiamo “petrapici”, sono qui, solo qui. Ed hanno fatto Ragusa come la conosciamo.
Saro Distefano