L’Unesco ha definito l’Arte dei muri a secco “il più importante modello di organizzazione del paesaggio dell’area del Mediterraneo”, inserendola nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità, poiché rappresenta una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura. Il muro a secco è un particolare tipo di muro costruito con pietre di varia forma e dimensione opportunamente incastrate senza uso di leganti o malte di alcun genere.
Le origini della fitta maglia di tali strutture che rendono inconfondibile il nostro territorio, va ricercata nella precoce formazione di una classe di piccoli proprietari terrieri, che dalla prima metà del ‘500 frazionarono un immenso feudo delimitandone manualmente le nuove proprietà in piccoli e grandi vignali.
La storia dei muri a secco inizia nella Contea di Modica (1282 – 12/12/1816), quando il conte Giovanni Bernardo Cabrera Aragona (1423 – 1466), indebitatosi con il fisco per circa 60.000 scudi fu costretto a vendere alcune sue terre e a frazionare il feudo rimasto in tanti lotti, che assegnò in enfiteusi agli agricoltori che ne fecero richiesta, stipulando contratti agrari che garantivano all’enfiteuta il godimento pieno di un fondo con l’obbligo di migliorarlo dietro pagamento al concedente di un canone annuo in natura o in denaro.
L’istituto dell’enfiteusi ben presto passò da temporaneo a vitalizio e quindi a perpetuo, con una radicale trasformazione dell’economia locale iblea a partire dalla prima metà del ‘500.
Essa provocò:
– L’esplosione demografica della Contea, con la forte crescita urbana di Ragusa e Modica e la successiva colonizzazione della pianura di Bosco Piano con la fondazione di Vittoria da parte dell’ultima erede dei Cabrera, Vittoria Colonna.
– La nascita di una robusta classe di imprenditori agricoli, “i massari”, impegnati a custodire e coltivare le terre prese in enfiteusi. I più ricchi comprarono anche titoli nobiliari dando così origine ad una nobiltà minore.
– La scomparsa del latifondo ed il frazionamento dell’immenso feudo della Contea di Modica, che provocò l’inizio della coltura intensiva.
– L’aumento del rendimento dei terreni, con l’avvicendamento delle colture cerealicole e leguminose, lo spietramento dei terreni e la scomparsa del pascolo brado.
– La modifica del paesaggio rurale del territorio ibleo con la costruzione di muri a secco e delle masserie, le quali, oltre alla casa “abitaria”, si dotarono di impianti di vario genere per la trasformazione dei prodotti vegetali e animali.
– La formazione di generazioni di maestranze e scalpellini abili nella lavorazione della pietra.
Diverse le tipologie di muri a secco e le varianti che vennero realizzate:
– I muri “mannaruni” o “cuccumeddi”, di forma circolare e utili a recintare e proteggere alcuni alberi dal fuoco o dagli animali.
– I “muri paralupi”, hanno la funzione di dissuadere i predatori dall’attaccare gli animali domestici. La zona terminale del muro presenta grosse pietre piatte che sporgono verso l’esterno in modo da impedire agli animali selvatici di arrampicarsi e penetrare all’interno del recinto.
– Sedili di pietra , spesso lungo le trazzere i muri a secco venivano dotate di sedili litici per far riposare le persone.
– Muri con gradini, per agevolare il passaggio da un campo all’altro.
– Torri di avvistamento, a scopo difensivo, un esemplare è la “Torre di Renna” tra Ragusa e Marina di Ragusa.
– Muragghiu, tutte le pietre superflue derivanti dallo spietramento del terreno e non utilizzate né per i muri a secco, né per le altre tipiche costruzioni sopra descritte, ì venivano accatastate così da formare torri coniche ì che fungevano da contenitore. Queste costruzioni possono essere dotatiìe di scalette lineari o a spirali e mettono in mostra una mirabile “tessitura” delle pietre delle pareti esterne. Vicino alla frazione di San Giacomo, presso la fattoria Musso è possibile ammirare un muragghiu creato in occasione della bonifica dei campi nel XV e XVI sec. E’ l’esemplare più imponente della zona, accanto ai muragghi di contrada Tribastoni (Ragusa) ed a quello di contrada Centopozzi (Ragusa).
Allo stesso modo, la produzione dei muri a secco generò la formazione di nuove professionalità:
– Il cavapietre (o pirriaturi), specialista nell’arte di estrarre la pietra.
– Lo scalpellino, tagliava la pietra e la lavorava con punte e scalpello per costruire blocchi in serie.
– L’intagliatore, conferiva la forma voluta alla pietra.
– U murazziccaru, ovvero la sintesi degli specialisti sopra menzionati. Conoscitore dei materiali e delle tecniche, lavorava la pietra con abilità, precisione e gusto artistico. I murassiccari costituivano una categoria di maestranze specializzate. Erano riuniti in corporazioni e tramandavano ai loro figli, attraverso un lungo tirocinio, i loro segreti. Da questa scuola nacquero gli scultori, i mastri e gli scalpellini che nel settecento lasciarono traccia nel Val di Noto.
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Cultura, architettura rurale, ambiente e territorio
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