donnafugata

CARAT: CULTURA, ARCHITETTURA RURALE, AMBIENTE E TERRITORIO

A Donnafugata l’opera d’arte, il Castello, ha come cornice un’altra opera d’arte, il paesaggio ibleo. Il toponimo deriva da “ajn as Jafat” (fonte della salute), il nome che gli arabi diedero alla sorgente che scaturiva nella vicina vallata. Che su quel sito ci fosse un primo insediamento arabo lo testimoniano i pesi monetali vitrei rinvenuti da Paolo Orsi.

Il suono gutturale generò le successive modifiche che portarono prima al siciliano “Ronna-Fuata” e poi al nome attuale. Intorno alla denominazione di questo castello, corre anche una leggenda che si perde in un lontano passato; in questo caso Donnafugata deriverebbe da “Donna Fuggita”. Si narra che il Conte di Modica, Bernardo Cabrera, volendo ottenere la corona di Sicilia, catturò la regina Bianca di Navarra e, per indurla a sposarlo, la fece rinchiudere in una torre. Ben presto i piani fallirono e la regina riuscì a fuggire di notte con l’aiuto di alcuni fedeli servitori. Ancora oggi, la leggenda si confonde nella realtà quando in una delle torri dell’edificio, viene indicata al visitatore la stanza di prigionia della regina.

Non si hanno notizie certe sulla data di fondazione del primo nucleo dell’edificio. Nel XVI sec. il feudo sul quale insisteva una torre di avvistamento apparteneva ad un discendente del ramo femminile di Casa Cabrera. Nel 1647, il nobile Vincenzo Arezzo La Rocca acquistò la tenuta di Donnafugata da Guglielmo Bellio de Cabrera ottenendone regolare investitura l’anno successivo (15 maggio 1648). Con il trascorre degli anni, attorno alla torre quadrata (tuttora visibile nel corpo centrale) si formò una masseria con relativa casa padronale dove gli Arezzo controllavano le attività agricole. La trasformazione in vera e propria villa cominciò agli inizi dell’Ottocento per poi concretizzarsi, dopo vari rimaneggiamenti ed ampliamenti, nella costruzione che vediamo oggi e che resta tuttavia incompiuta.

Sebbene i primi lavori di rifacimento per dar vita ad un “Casino di villeggiatura” siano da attribuire a Francesco Maria Arezzo Cosentini, è proprio nella figura del figlio Corrado Maria Arezzo De Spuches che si deve la forma dell’attuale Donnafugata. Grazie alla sua influenza politica, il barone Corrado riuscì a far deviare verso Donnafugata la linea ferroviaria Siracusa-Licata dove si costruì persino una stazione. Era una operazione oculata pro-Donnafugata che dava maggior lustro alla villa patrizia: da una parte si agevolava l’arrivo degli ospiti e invitati, dall’altro si le operazioni di carico e scarico dei prodotti del latifondo. Altri interventi di una certa importanza furono eseguiti agli inizi del ‘900 dalla nipote Clementina e dal marito francese Gaetan Combes de Lestrade. Per dare una continuità nei collegamenti interni dei corpi di fabbrica laterali, fu demolita l’immensa bifora centrale che occupava tutta l’altezza della facciata. Si unirono gli ambienti del primo piano mentre nel secondo piano fu inserito un loggiato goticheggiante. Le nozze di Clara, unica figlia di Clementina, con il conte Vincenzo Testasecca, non diedero origine a lavori di una certa importanza. Alla morte di Clara il castello di Donnafugata fu ereditato dal figlio Gaetano Testasecca (1920- 1985) ma, dopo la morte dell’unica figlia avuta con Yvette Paulhac, Gaetano raramente raggiunse il suo castello siciliano.

Il mantenimento di una struttura così ampia, complessa e lussuosa era naturalmente molto onerosa e nel 1982, per far fronte ai debiti accumulati e per sopperire ad una amministrazione di dubbia efficacia, Gaetano decise di vendere il Castello al Comune di Ragusa. Dopo una serie di lavori di restauro, il castello e il parco furono restituiti al pubblico come testimonianza di un capitolo importante di storia ragusana. Oltre che proporre ambienti arredati e un parco articolato in vari giardini, Donnafugata oggi si apre anche alla storia del Costume con l’istituzione di un museo sistemato nei bassi dell’edificio dove è conservata la prestigiosa collezione di abiti antichi e accessori “Gabriele Arezzo di Trifiletti” che l’amministrazione comunale ha acquistato nel 2015.

Se la Donnafugata de “il Gattopardo” è un luogo letterario diverso e lontano da quello reale e se le scene del film non furono girate nel castello, Donnafugata divenne comunque cornice cinematografica. Qui, infatti, i fratelli Taviani fissarono un prezioso momento del film “Kaos” e Roberto Faenza girò le scene de “I Vicerè”, ispirate al romanzo di De Roberto. Donnafugata accolse anche la narrazione onirica de “L’uomo delle stelle” di Giuseppe Tornatore, per poi diventare il set del “Racconto dei racconti” di Matteo Garrone e proseguire con alcuni episodi della serie del Commissario Montalbano, tratti dai romanzi di Andrea Camilleri.

D’altronde è sempre qui che le stanze e i saloni si vestono di raffinatezza e di metafore. Lo scalone d’onore si snoda su tre ampie rampe nere di pietra pece, ravvivate dal candore di alcune statue neoclassiche. Varcando la soglia del piano nobile si entra nella “Stanza Blu”, ravvivata da un lucernario che illumina l’oro dei mobili stile Luigi XVI. Proseguendo si entra nella “Stanza dei fumatori” dove tra un gioco di carte e l’altro andavano in “fumo” anche intere proprietà. Dopo aver superato la stanza delle donne si giunge nella “Sala della Musica”: qui alcuni salottini e strumenti musicali automatici sono dominati dalla magnifica decorazione del soffitto che richiama i simboli di Apollo, dio protettore del canto e della musica mentre in alto, lungo le pareti, corre una fascia con i simboli delle arti e delle scienze. Da qui si passa ad una piccola “Sala d’attesa” che introduce la lunga serie di stanze da letto della Foresteria. Dopo la Foresteria e la “quadreria” di modesta dimensione, per lo più dedicata alle fatiche di Ercole, si accede nella “Sala del Bigliardo” che affida l’apparato decorativo al trompe l’oeil. Gli spazi reali delle pareti svaniscono dietro l’illusione di paesaggi dal gusto esotico.

Nel “Salone rosso” del Vescovo erano ospitati insigni personaggi e, oltre agli arredi, rimane ancora oggi l’ombra antica di animate discussioni. In un angolo del salotto, rivivono infatti per un istante gli incontri clandestini di Donnafugata che nell’agosto 1859 videro il barone ed altri nobili discutere con Francesco Crispi, diventato poi primo ministro del Regno d’Italia. Al rosso segue il dorato del fastoso “Salone degli Specchi”. Il risultato è un gioco di profondità prospettica che amplifica la percezione reale del salone. Al centro contiene un pezzo unico: un rarissimo fortepiano viennese a coda della “Conrad Graf”, uno strumento del primo Ottocento che riporta alla memoria le feste da ballo e le serate di gala.

Tutto questo fervore si diffondeva negli appartamenti della Contessa e nell’ampio “Salone degli Stemmi”, ultima voce decorativa di una nobiltà che ostentava gloriosi passati dubitando del proprio destino. Non lontano è conservato il cuore pulsante del sapere: la biblioteca. In oltre 10.000 volumi è riflessa la memoria e l’identità culturale dei baroni di Donnafugata a partire da Francesco Arezzo (1800-1874) per poi ampliarsi notevolmente con il figlio Corrado Arezzo de Spuches (1824-1895) e completarsi con il Visconte Combes de Lestrade (1854-1918), genero di quest’ultimo.

Tre baroni e tre passioni che furono anche protagonisti nella realizzazione del grande Parco da ben otto ettari tra effetti sorpresa, scenari inconsueti e vedute inaspettate.

Il parco del Castello fu un lungo cantiere: il Barone Corrado Arezzo, oltre a progettare la sistemazione del giardino, si interessò della distribuzione delle varie piante, grazie alla sua vasta conoscenza nel campo della botanica.

Agli inizi del ‘900, Gaetan Combes de Lestrade, il Visconte francese che aveva sposato Clementina (nipote di Corrado Arezzo e figlia di Vincenzina), diede un nuovo impulso ai lavori di sistemazione del parco. A lui si attribuisce la realizzazione del Parterre e di alcune aiuole ricche di iris, rose, violette, giunchiglie. Migliorò il sistema di irrigazione e restaurò alcuni settori del Parco. Fonte di orgoglio non meno delle splendide sale del castello, l’immenso spazio verde doveva essere prestigioso e sorprendente: il “potere del barone” si manifestava attraverso il sapiente e totale controllo della curiosità degli ospiti. Il barone Corrado Arezzo era infatti riuscito ad ottenere una particolare concessione: le foglie dei ficus del parco potevano essere utilizzate come cartolina e spedite da Donnafugata non mancavano simboli, allegorie, segni esoterici e motivi iniziatici.

Nello spazio attorno al castello si estendono i giardini alla francese. Qui la ragione dell’uomo domina la natura e la piega alle leggi geometriche. Più ci si allontana dall’edificio più la composizione diventa “selvaggia”, informale e apparentemente libera. Nel parco è inserita la Coffee house. Si tratta di un’architettura di ispirazione neoclassica la cui funzione era quella di dare ristoro agli ospiti durante le afose giornate estive. Sulla sinistra un vialetto conduce alla “collina” sormontata dal tempietto circolare. Alla base si apre una Grotta. Il labirinto è una delle attrazioni più suggestive del parco. Costruito in muratura, riprende fedelmente il tracciato di quello inglese di Hampton Court: l’unica differenza risiede nel fatto che quest’ultimo è realizzato con siepi.

Il labirinto presenta un percorso faticoso. Una serie di biforcazioni e camminamenti ciechi (la perdizione) sollecitano la ricerca di una giusta scelta per raggiungere il centro (l’illuminazione).